Crescete e non moltiplicatevi
Scritto da on 16 Febbraio 2020
Anni fa, nel corso delle mie sconfinate ricerche nel web, mi sono imbattuta nell’esistenza di alcune pagine dedicate alla filosofia di vita childfree, il cui termine sta ad indicare le donne che decidono volontariamente di non procreare. Nel 2013 il fenomeno sociale conquista la copertina dell’americano Time, con lo slogan “When having it all means not having children” (quando avere tutto significa non avere bambini). La foto che accompagna il titolo è quella di una giovane coppia sdraiata sulla sabbia intenta a godersi felicemente la vita senza passeggini e biberon.
I motivi di questa presa di posizione sono i più disparati: dal rinomato mancato senso di maternità, al desiderio di vivere la vita di coppia senza limitazioni, a motivi professionali, al timore per il contesto economico e sociale. Alcuni di questi motivi dipendono anche dall’ambito culturale. In Italia il lavoro di cura di un figlio grava quasi totalmente sulle madri, in una società maschilista in cui la divisione di genere dei ruoli è ancora prevalente.
Non mancano le persone che decidono di eliminare del tutto la possibilità di avere figli in futuro, sottoponendosi a interventi di sterilizzazione consistenti nella legatura delle tube ovariche e l’asportazione delle stesse. E’ sufficiente trovare un medico che accetti di fare l’intervento, (molti sono obiettori di coscienza) e sottoporsi ad una visita psicologica prima.
E’ difficile fare una stima, ma secondo uno studio in Europa il numero di under 30 che non intendono avere figli è dell’11 %: ma la tradizionalista e cattolicissima Italia è uno dei paesi che registra le percentuali minori (4% circa).
Uno dei motivi per cui non è semplice calcolare la diffusione del fenomeno è tutt’ora lo stigma sociale. Se la maggior parte dichiara il suo essere childfree con orgoglio, per alcuni non è così, e si parla di un vero e proprio coming out in quanto la scelta non è sempre supportata ed è difficile da comprendere. Non è sempre facile spiegarlo agli altri, alla famiglia, alle madri che aspettano con ansia di diventare nonne e ti raccontano di tua cugina che aspetta il secondo, di tua sorella rimasta incinta da poco. Ed è proprio per questo che si sono create community dedicate, in cui le persone childfree si confrontano e trovano il supporto e la comprensione che spesso non ottengono dalla società, condividendo questo inconfessabile sentimento con altre persone.
Vengono spesso etichettate come “contro natura” o “rami secchi” su cui non è attecchito l’istinto di maternità. Donne continuamente bersagliate da frasi come: “Cambierai idea!”, “Lo senti l’orologio biologico?”, “Non capirai mai il significato della vita. Ciò che la società dovrebbe capire è che la donna non è più un’incubatrice, che diventare madre è una scelta e non più un’imposizione e che anche senza figli ci si può sentire complete.
A tal proposito consiglio la lettura di “Non me lo chiedete più #Childfree, la libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa”, dell’attrice e regista Michela Andreozzi. Michela ha deciso di non farlo quel figlio, e di spiegare a potenziali partner, genitori, amiche del cuore e perfetti sconosciuti che questa non è una bizzarria e che sottrarsi per scelta non deve essere un atteggiamento considerato sospetto per cui occorre giustificarsi. L’istituzione di una giornata mondiale che riconosce il movimento childfree, (1°agosto) è un piccolo passo verso l’accoglienza e l’accettazione, ma i passi da fare sono ancora molti.
Il movimento childfree non vuole fare la morale. Non vuole insegnare nulla a nessuno, non vuole dire che la vita è più bella senza bambini, che non c’è una via giusta e una sbagliata, ma solo che la genitorialità non è un obbligo, ma una scelta libera.